1 luglio 2020

Coronavirus, già a dicembre 2019 almeno 110 casi in Val Seriana

E' quanto emerge dall'inchiesta della procura di Bergamo sulla mancata istituzione della zona rossa
di PAOLO BERIZZI - la Repubblica

A dicembre 2019 la Val Seriana era già impestata dal coronavirus. Senza saperlo. O meglio: senza conoscere il nome del nemico invisibile. Che stava già picchiando sui polmoni come pure accadeva a Wuhan in Cina: dove però il nemico, Sars Covid 19, era già stato battezzato dalla medicina e dalle autorità (inizialmente restìe nel comunicarlo al mondo). E l'epicentro dei contagi era proprio Alzano Lombardo con il suo ospedale Pesenti-Fenaroli, dove alla fine dello scorso anno c'erano già 40 persone ricoverate per virus non riconosciuti. Che inizieranno a essere identificati e chiamati con il loro nome solo dal 23 febbraio. Più di due mesi dopo.

L'inchiesta
È la novità, clamorosa, che sta emergendo dall'inchiesta della procura di Bergamo che indaga sulla mancata istituzione della zona rossa proprio in Val Seriana, sulle Rsa, sulla chiusura-riapertura lampo dell'ospedale di Alzano e sui mancati dispositivi di protezione per gli operatori sanitari e i medici di base. Il pool di magistrati guidati dalla pm Maria Cristina Rota in tutti questi giorni non ha mai smesso di sentire medici, dirigenti ospedalieri e di aziende sanitarie, farmacisti (oltre ovviamente ai politici e ai vertici di Confindustria Bergamo e Lombardia). E di acquisire documenti. Dall'incrocio tra le carte - in particolare dai dati forniti dall'Ats -, e le testimonianze raccolte, prende forma l'ipotesi, fondata, che quello che è andato storto in Lombardia - in particolare nel secondo e più violento focolaio del coronavirus (la bergamasca Val Seriana), ha a che fare con una sottovalutazione nemmeno breve del virus. Che aveva iniziato a aggredire ben prima di quanto Regione Lombardia e governo centrale abbiano comunicato (fino ad ora sapevamo soltanto che un mese prima di Codogno, Roma aveva avvertito la Regione del pericolo, ma la Lombardia non informò i dottori).

La ricostruzione
Proviamo a spiegare cosa (non) è successo. L'"illuminazione" ai magistrati è venuta concentrandosi su tutte quelle polmoniti sospette che - nell'ospedale di Alzano, lo attestano ora i referti forniti dall' Ats, acquisiti dalla procura - sono state diagnosticate tra novembre 2019 e gennaio 2020. Almeno 110. Polmoniti che, però, per le circolari ministeriali non erano da "tamponare". Il motivo lo ha raccontato Repubblica: la discrepanza tra le circolari diffuse dal ministero della Salute sui "Covid sospetti". Circolari acquisite dalla pm Rota quando si reca a Roma per interrogare il premier Conte e i ministri Lamorgese e Speranza. Le linee guida, tra la prima versione del 22 gennaio, e quella del 27 gennaio, cambiano: inizialmente si raccomandava di considerare un caso sospetto anche "una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un'altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica". Poi, il 27, il criterio protocollare viene rivisto con l'introduzione di una variabile fondamentale: i casi sospetti, oltre ad avere sintomi, devono anche avere "una storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei), Cina, nei 14 giorni precedenti l'insorgenza della sintomatologia" oppure aver "visitato o ha lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan e/o nella provincia di Hubei, Cina".

I dati
Gli effetti di questo "cambio di passo" sull'impatto del Covid nella bergamasca (6mila morti, 670 solo a Bergamo) si capiranno solo dopo. Ma a "parlare", adesso, sono i numeri. Dai dati forniti agli inquirenti dall'Ats di Bergamo si evince che già a fine 2019 una quarantina di persone erano ricoverate in ospedale ad Alzano per virus sconosciuti. Nessuno lo sapeva, ma molti erano, quasi certamente, casi Covid. Si riveleranno più tardi. Sessanta giorni dopo. E però: le linee guida emanate poi da Roma prevederanno, appunto, che i "sospetti" non dovessero essere trattati come potenziali Sars Covid. In Val Seriana i medici (soprattutto di base) un forte dubbio ce lo avevano. Ma anche loro erano evidentemente disorientati. Adesso i primi tasselli vanno al loro posto. Dai dati di Ats Bergamo e Asst Bergamo Est (ne è entrato in possesso anche il consigliere regionale Niccolò Carretta) emerge con forza il picco di polmoniti "atipiche" o "non classificabili" già a dicembre. Ad Alzano.

Tra gennaio e febbraio l'impennata aumenta. Fino ad arrivare al 23 febbraio: quando il coronavirus viene individuato ufficialmente nella Bergamasca (due giorni dopo l'emersione del Paziente 1 a Codogno). Quanti ricoveri ci sono stati, nei mesi precedenti a quel 23 febbraio, con diagnosi in codice 486 ("polmonite, agente non specificato")? Centodieci, a partire da novembre 2019. Un altro elemento importante finito sul tavolo della procura: il racconto dei farmacisti (soprattutto comunali).

Le polmoniti anomale
A partire da dicembre fino a fine febbraio - hanno riferito - , c'è stata una massiccia, abnorme uscita di farmaci prescritti dai medici per polmoniti anomale (anche per bambini). A tal punto che a fine febbraio le farmacie non ne avevano più. Si tratta degli stessi farmaci poi inseriti nel protocollo farmacologico per la cura del coronavirus. In sostanza: l'ipotesi fondata dei pm (al di là della questione della chiusura-riapertura lampo dell'ospedale di Alzano il 23 febbraio) è che già alla fine di dicembre 2019 il cuore della val Seriana fosse già infettato dal Covid (in forma, è vero, ancora "anonima"). Che lo sapessero i medici, l'Ats, e dunque Regione Lombardia. Ma che, nonostante la situazione richiedesse adeguati e mirati interventi, queste misure siano state differite. Fino all'inizio del disastro (fine febbraio). A cui ha poi contribuito la mancata istituzione della zona rossa. "Ricordare i morti è riflettere sugli errori commessi", ha detto Sergio Mattarella domenica sera prima della commemorazione per le vittime Covid al cimitero di Bergamo. Un monito che a molti è suonato come un forte impulso alle attività di accertamento della verità da parte della magistratura.

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