22 febbraio 2011

Nota del mattino del 22/02/'11.

A cura dell'Ufficio Nazionale Circoli PD.

1. GHEDDAFI SPARA SULLA FOLLA, L’EUROPA SI INDIGNA, L’ITALIA TACE. LE BARZELLETTE, GLI AFFARI E LE ALLEGRE RIMPATRIATE DI BERLUSCONI E GHEDDAFI DIVENTANO UNA TRAGEDIA CHE INFANGA L’ITALIA. OGGI APPUNTAMENTO PD A ROMA PER INIZIATIVA PUBBLICA
Il risveglio del popolo libico è stato trasformato in una tragedia epocale dalla reazione sanguinaria di Gheddafi: aerei ed elicotteri hanno sparato sulla folla. Il paese è in fiamme. Centinaia i morti. Di fronte a questa tragedia il governo italiano, con il proprio comportamento, ha infangato la faccia dell’Italia di fronte al mondo. Mentre l’Europa invocava interventi fermi e duri, il presidente del Consiglio taceva. Il ministro degli Esteri Frattini esitava. “In passato eravamo noi l’avanguardia dell’Europa in quell’area” ha denunciato il segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani. “Dovremmo essere noi, per il nostro ruolo storico e per la nostra collocazione geografica, a far capire il Nord Africa e il Medio Oriente al resto dell’Europa. E invece c’è solo un colpevole silenzio”. In serata il segretario del Pd ha telefonato a Frattini chiedendo un intervento più deciso del governo italiano e che il governo venisse a riferire in Parlamento.
Ma intanto il danno era stato fatto. Sull’Italia è sceso ieri il gelo degli altri paesi europei. Solo in serata il premier è intervenuto con un timido accenno alla necessità di evitare violenze ai danni dei civili. Una condotta scandalosa. In Europa si parla con disprezzo della diplomazia della rue Froissant, la strada laterale dove c’è l’ingresso per le riunioni del Consiglio: prima di entrare nella riunione, presidente del Consiglio e ministri italiani hanno via via elogiato e difeso Lukashenko, il despota bielorusso, l’egiziano Mubarak e ancora ieri Gheddafi, del quale si ricordano in Europa le allegre vacanze romane, con tanto di festeggiamenti ufficiali, cariche di cavalleggeri, teatrali abbracci e scambio di considerazioni su amazzoni e corano. Nelle riunioni ufficiali tra i governi europei invece l’Italia si è limitata ad allinearsi alle decisioni prese dagli altri. Una strategia tutta di comunicazione, basata sul niente e che ora ha lasciato l’Italia alla berlina nel mondo.
Oggi pomeriggio, alle 18.30, iniziativa del Pd a Roma, al Pantheon, per fermare la violenza e aiutare la democrazia.

2. I CONTRACCOLPI DEL RISVEGLIO DEL NORD AFRICA. L’ITALIA RISCHIA DI PAGARE UN PREZZO ALTISSIMO.
I contraccolpi della guerra civile in Libia e del risveglio del Nord Africa e del Medio Oriente rischiano di essere pesanti per il mondo occidentale industrializzato, ma soprattutto per l’Italia. Sono centinaia le imprese italiane in Libia. I capitali libici sono presenti in gradi aziende italiane (basti pensare a Unicredit). Ma soprattutto a preoccupare sono le ripercussioni sugli approvvigionamenti energetici e sulla possibile spinta all’inflazione, che innescherebbe un aumento dei tassi di interesse capace di pesare in modo davvero pesante sul costo del nostro debito pubblico.
La Repubblica. “Il primo scossone è arrivato ieri da Piazza Affari (crollata del 3,59%, con l`oro decollato oltre i 1.400 dollari l`oncia e il petrolio schizzato ai massimi dal 2008), dove le aziende tricolori più attive nel paese africano - Eni, Unicredit, Finmeccanica e Impregilo - hanno bruciato da sole 6 miliardi del loro valore. LA BOLLETTA finale rischia però di essere molto più salata. Il Belpaese- complice l`asse di ferro Berlusconi-Gheddafi - è il primo partner commerciale del Colonnello. E a rischio il fiume di greggio (un quarto del nostro fabbisogno) che scorre ogni giorno da Tripoli a Roma. Sono in bilico commesse e investimenti italiani per una quarantina di miliardi. Molti decollati tre anni fa, quando il
Cavaliere ha firmato il "patto d`amicizia" bilaterale regalando al leader libico un assegno da 5 miliardi in 20 anni (più la Venere di Cirene) per chiudere le ferite del colonialismo. Il nodo energetico. È il capitolo più delicato. La Libia è il primo fornitore di petrolio dell`Italia: Tripoli garantisce il 23,3% del nostro fabbisogno di greggio (ogni giorno ce ne "spedisce" 50mila tonnellate). Gheddafi ha in mano anche il rubinetto da cui passa il 12% del gas consumato nel Belpaese, dopo che qualche mese fa per ridurre i propri debiti - l`Eni ha girato alla libica National Oil Corporation una quota e la gestione del gasdotto Greenstream che collega la costa africana a Gela (Sicilia). Spostare le fonti di approvvigionamento - dicono gli esperti - è complesso in situazioni di normalità. Oggi, con il Medio Oriente in fiamme e il Canale di Suez nell`occhio del ciclone, l`addio al petrolio di Gheddafi rischia di trasformarsi in una Caporetto per l`economia italiana. Anche perché gli altri nostri fornitori di fiducia – Russia (14,8%), Iran (13,8%) e Azerbaijan (13,1%) - non brillano per stabilità politica. Gli affari a rischio. L`Eni, come ovvio, è l`azienda italiana più esposta. I suoi pozzi pompano 244mila barili al giorno nel deserto libico, poco meno del 15% della produzione del Cane a sei zampe. Il numero uno Paolo Scaroni, forte del feeling Berlusconi-Gheddafi, ha ottenuto l`anno scorso un allungamento di 25 anni delle concessioni in loco in cambio di 28 milioni di dollari di investimenti in 25 anni, tra cui diversi progetti di edilizia sociale. Trema anche Finmeccanica. Il colosso della difesa ha appena aperto un impianto per l`assemblaggio di elicotteri Agusta e ha incassato commesse per 1.750 milioni per rifare i sistemi di segnalamento ferroviario nel paese e 300 destinati a sistemi per il controllo dei confini meridionali della Libia in chiave anti-immigrazione. Un miliardo di appalti ha pure Impregilo, cui è stata affidata la costruzione di tre centri universitari. L`Istituto per il commercio estero stima in 130 aziende e 600 dipendenti la presenza italiana in Libia. Sirti sta posando 7mila km. di cavi (valore 68 milioni), Trevi segue grandi progetti nel cuore di Tripoli, alcune imprese lavorano al terminal container nel porto di Tripoli. «Commesse per diverse centinaia di milioni», dicel`Ice, sono state assegnate a Friulana Bitumi e Pontello & Vannucchi nel campo delle infrastrutture. Un altro grande business (potenziale) a rischio è l’autostrada dell`amicizia: 1.700 km di asfalto lungo la costa tra Tunisia ed Egitto finanziati da Roma - quasi 3 miliardi la spesa prevista la cui costruzione doveva essere affidata a realtà italiane. Visto che l`amicizia in questione è quella con Gheddafi, resta da vedere cosa succederà ora. L`asse finanziario. Un`altra grande incognita è il destino degli investimenti finanziari libici in Italia. Dopo l`operazione Fiat negli anni`70, Tripoli è tornata a investire in Italia i suoi petrodollari con la benedizione di Berlusconi. I fondi di Gheddafi, forti di 100 miliardi di liquidità, sono i primi soci con il 7% di Unicredit, controllano il 2% di Finmeccanica e della Fiat, il 7,5% della Juventus, il 21,7% della Olcese (tessile) e il 14,8% della Retelit. Secondol`Ice, la Gheddafi Spa era pronta a investire in Mediobanca («fino a 500 milioni»), in Telecom, Impregilo e Generali”.
Oltre ai contraccolpi diretti, ve ne potrebbero essere anche di indiretti. Ieri il prezzo del petrolio è balzato oltre i 105 dollari al barile. Era dal 2008 che il costo del greggio non toccava queste quotazioni. Il rischio che si possa innescare una spirale inflattiva è reale. E per un paese come l’Italia, con un debito pubblico molto elevato, questo significa molto. Nel caso in cui scattasse un aumento dell’inflazione ( che già si teme per l’eccesso di denaro stampato dagli Stati per salvare le grandi banche e le grandi società finanziarie in crisi) è certo che la Banca centrale europea deciderebbe all’istante un aumento dei tassi di interesse, nel tentativo di stroncare sul nascere l’incendio dei prezzi. Altrettanto certo è che questo aumento si scaricherebbe sui tassi di interesse da pagare per collocare nuovi Btp, Cct, Bot, Ctz, insomma per rinnovare il debito pubblico in scadenza. Basti pensare a un dato: un solo punto percentuale in più sui tassi di interesse potrebbe costare a un paese che ha un debito pubblico come l’Italia dai 10 ai 15 miliardi di euro di spesa pubblica in più ogni anno. Come dire: un drammatico aggravamento per i nostri conti pubblici.

3. MA IL GOVERNO PENSA SOLO A COME BERLUSCONI POSSA EVITARE I PROCESSI.
Il governo e la maggioranza, nonostante questi rischi e nonostante tutti i problemi che ogni giorno ormai vivono milioni di italiani, ha invece una sola preoccupazione: che Berlusconi eviti di dover parlare con i giudici. La scelta sarà fatta tra il legittimo impedimento per qualche riunione internazionale o per un Consiglio dei ministri (uniche occasioni in cui è rimasto possibile attivarlo) e un ricorso alla Corte Costituzionale per il conflitto di attribuzione (ci vorrà un voto delle Camere). Tutto fuorché fare l’unica cosa che il presidente del Consiglio dovrebbe fare: presentarsi di fronte ai magistrati per i processi Mills, Mediatrade, Ruby, Mediaset.
Tutto è appeso a questa esigenza: le riunioni del Consiglio dei ministri sulla riforma della giustizia e il bavaglio all’informazione; l’attesa per la strategia difensiva disegnata dagli avvocati Ghedini e Longo; perfino la ricerca di nuovi acquisti, ad ogni costo e con ogni mezzo, per supportare la maggioranza (in vista di voti decisivi sui ricorsi alla Consulta, oltre che sul federalismo). Un’operazione, quest’ultima, che sta costando al presidente della Camera, Gianfranco Fini, le fuoriuscite di parlamentari del suo partito al Senato e alla Camera.

4. IL PD E’ L’ARGINE PER FRENARE LA DERIVA ANTICOSTITUZIONALE E PER LA RISCOSSA DELL’ITALIA. SONDAGGI PREMIANO PD E BERSANI
Il tentativo di rimettere in campo il tema dell’immunità parlamentare, sostenuto oltre che dal centrodestra anche dal lavorio di diversi quotidiani, è stato stoppato drasticamente ieri dal Partito Democratico. Dario Franceschini, presidente del gruppo parlamentare del Pd alla Camera: «Non esiste che per bloccare i processi a Berlusconi si dia l`immunità non solo a lui ma anche agli altri 944 parlamentari». Pier Luigi Bersani: «E` ora di mettere all`ordine del giorno, non l`immunità parlamentare, ma regole, onestà, sobrietà».
Anche sul tema più generale della riforma della giustizia il Pd funge da argine. Il Pd è disponibile a discutere una riforma della giustizia per renderla efficiente e al servizio dei cittadini, non per rendere Berlusconi e la cricca non perseguibili. Le proposte per riformare la giustizia in senso positivo il Pd le ha messe a punto nel corso del processo di preparazione della piattaforma programmatica, ormai alle battute finali, che servirà da base per il confronto con le forze sociali e con gli altri partiti dell’opposizione democratica per preparare il superamento di questa fase, per ricostruire un paese civile, per rilanciare economia e occupazione.
L’aver tenuto la barra del timone del Pd ben dritta in questi mesi ha cominciato a produrre anche frutti in termini di consenso. Corriere della Sera: “Bersani stacca Berlusconi nei sondaggi. È il risultato di una rilevazione presentata ieri sera da Renato Mannheimer a Porta a porta. Se si votasse ora il centrosinistra prenderebbe il36% dei consensi e Berlusconi il29. AI Terzo polo guidato da Pier Ferdinando Casini andrebbe il 15%. Se a capo dei "terzopolisti" ci fosse Gianfranco Fini, questi renderebbero I`11 % dei consensi, mentre il centrosinistra avrebbe il 39% e il centrodestra solo il 30%”.

5. LE BUGIE DI TREMONTI HANNO LE GAMBE CORTE.
Articolo di Sergio D’Antoni su Europa. “Dopo tre anni di politiche scientificamente antimeridionali, dopo aver demolito strumenti e prosciugato fondi destinati alla convergenza, ci vuole davvero una bella faccia tosta a proporre agli italiani una simile balla (D’Antoni si riferisce alla decisione annunciata dal governo di chiedere all’Europa alcune deroghe per far sviluppare il Sud). Il fatto è che, nel 2008, quando Tremonti si insediava in via XX settembre, l`Italia disponeva già delle deroghe necessarie per avviare una politica di
sviluppo nazionale incentrata sul riscatto delle aree deboli. Il governo del centrosinistra, nei due anni precedenti, aveva negoziato proficuamente con l`Europa, portando a casa, tra l`altro, 120 miliardi tra fondi strutturali e Fas e due fondamentali strumenti di fiscalità di sviluppo: il credito d`imposta per gli investimenti produttivi e le zone franche urbane. Che fine ha fatto tutto questo? Presto detto: è stato letteralmente cancellato dal ministro che oggi si fregia di parlare di Sud”.
Romano Prodi su Il Messaggero oggi ha spiegato come sia una ben magra consolazione l’aver deciso a livello internazionale che nel conto del debito si potrà calcolare anche il debito privato. Secondo Prodi Tremonti, che ha presentato una tale decisione come un trionfo italiano, sa benissimo che questo significa una cosa sola: trasferire il peso del risanamento sulle spalle dei cittadini sotto forma di tasse. Solo che non lo dice.

6. IL CAPITALISMO ITALIANO ALLA GUERRA DI POSIZIONE. DOPO DELLA VALLE, DEL VECCHIO LASCIA LE GENERALI.
Dopo gli attacchi di Diego Della Valle a Cesare Geronzi (presidente delle Generali, la principale compagnia di assicurazione italiana e anche la principale società multinazionale italiana) per la gestione della Rcs, società editrice del Corriere, ieri il principale azionista della Luxottica, Del Vecchio, ha annunciato la sua uscita dal Cda delle Generali, perché non ne condivide la linea. Al di là delle baruffe tra i diversi personaggi da rotocalco dell’economia italiana, è chiaro che è in corso una battaglia per il riassetto del potere in quello che molti commentatori chiamano “il salotto buono” della finanza italiana: Mediobanca (principale azionista delle Generali), le Generali e, a cascata, società partecipate e azionisti, tutti collegati in un intreccio (basti pensare a Telecom, a Sai, a Fiat, tanto per citare qualche caso) inestricabile di pacchetti azionari, patti di sindacato e di interessi personali.

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