15 luglio 2011

Nota del mattino del 15 luglio 2011.

1. UNA MANOVRA SCANDALOSAMENTE CLASSISTA. OGGI IL VOTO CONTRARIO DEL PD. BERSANI: BERLUSCONI SE NE DEVE ANDARE. PER IL BENE DELL’ITALIA. SONO LORO CHE CI HANNO PORTATO QUI. BINDI: SCELTE INIQUE E SALVA-CASTE.
Bersani a La Repubblica e Bindi a Il Corriere della Sera hanno chiarito oggi il giudizio del Pd sulla manovra del governo e il voto contrario del Pd. Oggi il voto alla Camera. Bersani interviene in aula.
Con questa intervista a La Repubblica, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, appena tornato dal viaggio in Nord Africa e medio Oriente, ha chiarito di considerare la manovra del governo scandalosamente classista. “Un minuto dopo l`approvazione della manovra i protagonisti politici ed economici di «questa vergogna» se ne devono andare. Via Berlusconi e via anche Tremonti”. Pierluigi Bersani, reduce da un viaggio in Medio Oriente, riprende fisicamente posto sulla poltrona di segretario e chiarisce che il Pd si è impegnato ad accelerare i tempi di approvazione della manovra «solo per evitare minacce dall`esterno»: «Non lo stiamo facendo per Berlusconi ma per il Paese». Il senso di responsabilità non va confuso con qualsivoglia complicità. «Adesso ci vuole una svolta politica», dice il segretario del Pd. E annuncia: «Se tocca a noi, pur salvando i saldi, cambieremo l`asse di questa manovra classista. Se tocca a noi, toglieremo il ticket. I soldi si possono trovare altrove». Onorevole Bersani, il governo Berlusconi sta per incassare il via libera alla manovra con una tempistica senza precedenti. Il giorno dopo che cosa succede? «Il giorno dopo Berlusconi deve andare a casa. Ha preso una strada sbagliata e siamo all`ultimo tornante. Se il guidatore insiste nel tenere il volante, andiamo a sbattere». E allora? «E allora si deve andare ad elezioni, con nuovi protagonisti, nuovi programmi, nuove ricette nel rispetto del saldo di bilancio. Solo questo può ridare fiducia, credibilità e un senso di riscossa al Paese». La seconda opzione? «Non mi sottraggo all`ipotesi subordinata di un passaggio di transizione che renda possibile allestire una nuova legge elettorale e imbastire le riforme». Berlusconi non vuole lasciare. «Il peggio del peggio. Andare avanti così per altri due anni, con un ministro accusato di mafia, con un Consiglio dei ministri che non riesce a riunirsi, ci espone a tutte le intemperie». Non pensa che la maggioranza sfrutti il vostro atteggiamento responsabile per blindarsi? «Se lo scordino. Sia chiaro che noi siamo radicalmente alternativi, siamo un partito di governo con un`altra idea. Sono loro che ci hanno portato sin qui. Non c`è nessun tipo di collaborazione da parte nostra con un governo del quale non condividiamo la politica economica, le condizioni della trattativa, così come sono state poste a livello europeo, e i contenuti di questa
manovra. Si tutelano gli evasori delle quote latte, ci si spaventa a morte per una lettera dell`Ordine dei notai e si fa pagare il ticket alla gente normale. Una vergogna». Berlusconi non parla. «Il suo silenzio è impressionante, il punto più basso di questa legislatura già bassa». La scelta del rigore ricadrà così sul solo Tremonti e persino su voi dell`opposizione... «Noi non condividiamo questa manovra. Colpisce i ceti medi e bassi, sega le autonomie locali, non mette niente sul tema della crescita, non disturba in modo significativo chi ha di più. I tagli lineari sulle detrazioni fiscali si rivolgono a chi paga le tasse. E quelli che non le pagano? Ne stanno fuori? E` ingiusto. Ricordo che abbiamo proposto emendamenti per l`accorpamento dei piccoli Comuni, per il superamento dei vitalizi, per affrontare in modo credibile il problema delle Province... Nemmeno una di queste proposte è stata presa in considerazione». Se toccasse a voi, cosa fareste? «L`Europa ci conosce, sa che siamo persone di governo, che abbiamo affrontato momenti difficili, che non verremo mai meno agli impegni, pur discutibili, assunti da questo esecutivo. Se tocca a noi, garantiremo i saldi ma cambieremo asse a questa manovra». Nessuno potrà dire che il Pd è complice del ritorno del ticket. «L`hanno messo loro. Il Pd lo toglierà». Tutto interessante ma se Berlusconi non se ne va? «Sarebbe un irresponsabile. Deve prendere atto che la sua raccattata e ribaltonesca maggioranza parlamentare non rappresenta la maggioranza reale del Paese, l`abbiamo visto di recente alle amministrative e con i referendum». In questo caso cosa farete? «In democrazia si combatte. La gente comincia a capire e molti della maggioranza sono imbarazzati. Berlusconi non è più in grado di dare un messaggio all`Italia, di parlare di onestà, civismo, regole. Per 15 anni ha espresso l`esatto contrario di questi valori. Chiedo un moto dei "responsabili" di questo Paese, e non parlo di Scilipoti, ma dell`opinione pubblica, intellettuali, imprenditori, forze ragionevoli della maggioranza... E` il momento di dire basta. Nei miei incontri in Medio Oriente, da Netanyahu ad Abu Mazen, ho registrato l`appello per un rinnovato protagonismo dell`Italia ma anche la sensazione che ormai tutti pensino che la stagione del berlusconismo sia finita».
Il discredito del governo conta sui mercati? «Credo che il dato politico sia rilevantissimo. Non è stata tenuta una linea europeista che contribuisse a far parlare l`Europa con una voce sola in tema di investimenti sul lavoro e di tassazioni sulle transazioni finanziarie, la nostra politica economica si è rivelata sbagliata e non credibile. Se arrivasse nei prossimi mesi una svolta politica, questo non porterebbe instabilità ma, al contrario, fiducia». Ne ha parlato durante l`incontro che ha avuto con il governatore Draghi? «Ovviamente non riferisco i contenuti di una conversazione. Posso dire qual è il mio interesse: trovare la risposta per far vedere al mondo che in Italia si può invertire la rotta e dare nuovo impulso alla crescita».
Con questa intervista a Il Corriere della Sera il presidente del PD, Rosy Bindi, ha spiegato oggi il voto contrario del Pd. «È la manovra più iniqua e dannosa che si potesse adottare».
Eppure, presidente Rosy Bindi, è anche grazie al Pd se oggi sarà approvata a tempo di record. «Noi siamo responsabili dei tempi, il contenuto invece è tutto loro. Non solo noi voteremo contro, ma faremo di tutto per spiegare al Paese che questa manovra fa vera macelleria sociale. Dopo aver messo a rischio la scuola pubblica ora il governo mette a rischio la salute pubblica, rende i poveri più poveri e dà il colpo di grazia a quel poco di ceto medio che era rimasto nel Paese». Tremonti e Berlusconi vi avevano offerto garanzie nel merito? Vi sentite ingannati dal governo? «Noi abbiamo risposto all`invito del capo dello Stato. Abbiamo offerto la nostra disponibilità, chiedendo però come premessa le dimissioni dei governo e un`ammissione di responsabilità da parte del premier e del ministro dell`Economia. Se l`Italia è stata sottoposta all`aggressione dei mercati è perché la politica di questo governo non ha più nessuna credibilità. Sono inaffidabili». Col senno di poi fareste diversamente? «Se noi non avessimo consentito l`approvazione in una settimana, comunque lo avrebbero fatto entro il mese. Con il Paese esposto alle speculazioni era necessario dare un segnale ai mercati. Detto questo, è quanto di più distante da quel che avremmo voluto. La manovra salva tutte le caste, non tassa le rendite e non prevede una sola misura di crescita. Invece di far pagare chi si è arricchito, aumenta le diseguaglianze». Dimissioni, e poi? «L`unico gesto di responsabilità che Napolitano può chiederci è quello di sostenere un governo affidato a una personalità che goda di prestigio internazionale e di riconoscimenti in sede europea». Una figura come Mario Monti? «È evidente che Monti rientra in questo profilo, ma i nomi li fa il presidente della Repubblica. Io me ne guardo bene». Griderebbero al ribaltone... «Non sarebbe il governo del ribaltone. Ma gli attuali ministri devono starne fuori. Questo si può chiedere a un`opposizione che, andando contro i propri interessi di parte, ha dimostrato di avere a cuore gli interessi del Paese. Il governo riconosca che è il primo responsabile, approvi la manovra e si dimetta. E un atto di responsabilità dovuto al Paese, noi lo abbiamo fatto e adesso tocca a loro». È proprio sicura che il centrosinistra non abbia colpa alcuna del dissesto dei conti pubblici? «Non è un caso che le speculazioni finanziarie siano arrivate adesso. Oltre ai problemi di Berlusconi e del ministro Romano, abbiamo il responsabile dell`Economia lambito da vicende non edificanti che riguardano persone a lui molto vicine. Citando Tito Livio, Tremonti ha detto che resterà al suo posto "ottimamente". Ma chi può stare bene in un momento come questo?».

2. IL PD LANCIA INIZIATIVE CONTRO UNA MANOVRA INIQUA.
MANOVRA: MIGLIAVACCA (PD), DA NOI INIZIATIVE CONTRO MISURE INIQUE = (AGI) - Roma, 14 lug. - "Il Partito Democratico si prepara a lanciare iniziative contro la manovra iniqua e sbagliata con la quale il governo vuol far pagare agli italiani il prezzo pesantissimo del suo fallimento. In ogni festa democratica in corso e in via di preparazione in tutta Italia
il Pd invita i propri militanti a organizzare iniziative per spiegare ai cittadini gli effetti di questa manovra che scarica sui ceti bassi e medi tutto il peso di un risanamento resosi necessario per l’incapacità e l’insipienza del governo; per spiegare le proposte che il Pd e gli altri partiti dell’opposizione hanno presentato in Parlamento per ottenere il risanamento dei conti ma per altre vie, puntando anche alla crescita e al taglio dei costi della politica; per rimarcare la necessità che questo governo se ne vada perché produce danni pesanti al paese. La manovra della destra, approvata dalla maggioranza con l’ennesimo voto di fiducia e il voto contrario di tutte le opposizioni, che hanno aderito all’appello del presidente della Repubblica ad accelerare i tempi solo per evitare che la speculazione internazionale penalizzasse duramente gli italiani, rappresenta il manifesto del fallimento del governo Tremonti-Berlusconi-Bossi". Lo afferma Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale del Pd. (AGI)

3. GLI USA SULL’ORLO DEL BARATRO, UN PERICOLO PER TUTTO IL MONDO. NONOSTANTE IL DEBITO ALLE STELLE LA DESTRA NON ACCETTA RITOCCHI ALLE TASSE DEI RICCHI O TAGLI ALLE SPESE MILITARI.
Da La Repubblica. Articolo di Federico Rampini. “L’ultimo segnale che la situazione è davvero grave, è l`appello del governo cinese rivolto a Washington: «Dovete proteggere gli interessi degli investitori». Con 1.000 miliardi di titoli del Tesoro Usa nella cassaforte della sua banca centrale, la Cina è il primo di quegli investitori esteri a dovere immaginare l`impensabile. L’impensabile è il "default" degli Stati Uniti d`America. Altro che Grecia, altro che Italia. Lo stallo, tutto politico, del negoziato fra Barack Obama e i repubblicani costringe il mondo intero a interrogarsi su uno scenario assurdo, inaudito, l`Apocalisse della finanza globale. Ma davvero può fallire la più grande economia mondiale? Può, in teoria e di fatto, eccome se può, è l`avvertimento che anche il New York Times lancia alla sua classe politica: "Qualsiasi ritardo nell`onorare i debiti equivale di fatto a un`insolvenza. Quand`anche fosse breve, potrebbe scuotere la fiducia nell`economia americana, e sconvolgere gravemente i mercati finanziari globali". Che la situazione sia drammatica lo conferma perfino la toponomastica: ieri è stata ventilata l`ipotesi di spostare il negoziato Obama-democratici-repubblicani a Camp David, la residenza dove altri presidenti americani ospitarono le trattative di pace israelo-palestinesi. Un segnale che stavolta è l`America stessa il teatro di un conflitto destabilizzante. All`origine c`è una norma speciale che regola le finanze pubbliche Usa. Il Congresso ha il diritto-dovere di fissare un limite al debito. Raggiunto quel limite legale, il Tesoro non può procedere a nuove emissioni di titoli per rifinanziarsi, finché il Congresso non rinnova l`autorizzazione. Il limite fatidico ormai è raggiunto, 14.300 miliardi di dollari. La data fissata per la "fine del mondo" è il 12 agosto. Se prima di allora il Congresso non avrà votato un innalzamento del debito, il Tesoro non
potrà rifinanziarsi. Il Congresso è spaccato, i democratici controllano il Senato e i repubblicani la Camera. Se non arriva l`accordo bipartisan cesseranno pagamenti di servizi essenziali, come le pensioni. Ma più delle conseguenze concrete sulla popolazione americana, il resto del mondo s`inquieta per le ricadute sui mercati. Una interruzione sia pure momentanea dei pagamenti di Washington ai suoi creditori planetari può scatenare il panico sui mercati. Stiamo parlando dell`economia più ricca del mondo; della moneta (il dollaro) più diffusa come mezzo di pagamento universale; del titolo (Treasury Bond) più ubiquo e liquido, onnipresente nei portafogli di tutte le categorie di investitori (banche, fondi pensione, assicurazioni). Da qui ad agosto il conto alla rovescia può essere punteggiato da accessi di paura collettiva. Non importa se la crisi è artificiale perché "fabbricata" dalla politica. Le sue conseguenze sono reali. Questo rischia di trasformarsi nel temuto "after-shock" del 2008-2009. Le grandi crisi finanziarie della storia hanno spesso avuto delle scosse di assestamento successive. Dopo la recessione innescata dal disastro dei mutui subprime, un`altra catastrofe globale potrebbe essere "made in Usa", stavolta prodotta dal corto circuito tra escalation debitoria e calcoli politico-elettorali. Colpisce la sproporzione tra le cause. Da una parte c`è il declino americano provocato da politiche neoimperiali (due guerre, 3.000 miliardi di costo); il dissanguamento delle entrate fiscali per le politiche neoconservatrici; la demografia che porta in pensione le generazioni popolose del baby-boom. D`altra parte c`è il calendario elettorale: le elezioni presidenziali del novembre 2012 suggeriscono ai repubblicani una politica del «tanto peggio tanto meglio». Sperano che un disastro economico affondi le speranze di rielezione di Obama. Lui stesso non sembra escluderlo: «Questa crisi può segnare la fine della mia presidenza». Se fosse solo questione di cifre, l`accordo tra democratici e repubblicani non sarebbe difficile: stiamo parlando di tagli fra 2.000 e 4.000 miliardi ripartiti fra nuove tasse e riduzioni di spesa, ma spalmati su molti anni a venire. Una manovra di lacrime e sangue, certo, però le spalle robuste dell`economia americana potrebbero reggerla. L`ostacolo vero è l`ideologia: la destra non accetta un solo centesimo di tasse in più, neanche sui miliardari o sugli hedge fund, in nome di un liberismo estremo. Perfino il banchiere centrale, Ben Bemanke, ormai evoca una «calamità finanziaria immensa». Moody`s ne trae le conseguenze, tratta gli Stati Uniti come un`Italia qualsiasi, annuncia «crescenti possibilità» che l`accordo non sia raggiunto il 12 agosto e che questo si traduca in un declassamento del rating. Uno dei blog più autorevoli sui mercati finanziari, Etoro, si chiedeva pochi giorni fa: «L`euro potrebbe sopravvivere a un default della Grecia, forse anche del Portogallo, ma dell`Italia?». Ora quell`interrogativo si declina a un multiplo di potenza: dollaro, Borse, banche, chi mai potrebbe sopravvivere a un default americano? Un guizzo di buonsenso dell`ultima ora tra i politici di Washington, o una trovata d`ingegneria giuridico finanziaria, devono poter fermare il treno che corre a velocità folle verso la collisione. La tempistica non potrebbe essere più infelice: con i mercati già in fibrillazione isterica per le convulsioni dell`eurozona, la tempesta perfetta è vicina.

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