Epifani: "Crisi, il Governo cambi rotta. Galleggiare non aiuta il Paese"
"Dalla recessione si può uscire, ma urge intervenire
con riforme, investimenti e affrontando con l`Europa nuove politiche
economiche"
L'intervista al segretario del Pd di Oreste Pivetta - l'Unità
«Il Paese
stenta a reagire. Un Paese che dovrebbe maturare invece coesione,
moralità, coraggio, che dovrebbe sentire il bisogno di uno scatto
d`orgoglio, sapendo che nessuno da fuori aiuterà. Tuttavia dobbiamo
essere fiduciosi, perché sarà difficile, ma da questa crisi si può
uscire, garantendo intanto la sopravvivenza di questo governo, che
dovrebbe introdurre però elementi di forte novità, nella sua politica.
Non ci si può accontentare di sopravvivere mantenendo la linea di
galleggiamento. Galleggiare non aiuta».
Pensa comunque ad un`esistenza non proprio breve dell`esecutivo Letta?
«Lo
vedremo nei prossimi giorni. Vedremo quanto il Pdl vorrà far pesare
sugli equilibri politici il voto sulla decadenza di Berlusconi. È certo
che non si può continuare in uno stato di fibrillazione, in una
situazione di perenne ricatto».
Intanto però il quadro sembra tingersi sempre più di nero...
«Non
c`è nulla di imprevisto. Si sapeva che il biennio 2013-2014 sarebbe
stato dal punto di vista dell`occupazione il più duro. Il governo
prevede una crescita del Pil l`anno prossimo dell`uno per cento.
Speriamo, ma non ci credo. Comunque le conseguenze sull'occupazione
saranno nulle, mentre maturano crisi industriali e cedimenti nel settore
dei servizi».
Persino la Commissione europea valuta in centoventimila i posti che si perderanno in Italia l`anno prossimo.
«Ogni
allarme è giustificato. D`altra parte ci lasciamo alle spalle sette
anni di decrescita. Anche risalendo, quali mai potrebbero essere i
riflessi positivi sull'occupazione? Negli ultimi sei anni l`occupazione è
calata di quattro punti. Peggio per i giovani: uno su due resta
disoccupato. Peccato che i processi e le condanne di Berlusconi
orientino il dibattito pubblico e si debba tanto faticare a imporre il
tema del lavoro, il tema del lavoro che manca».
Sulle nostre sofferenze pesano anche le politiche europee.
«Certo,
politiche europee chiuse, che hanno imposto limiti di bilancio, che
hanno impedito investimenti, che hanno mortificato qualsiasi possibile
slancio. Il governo ha compiuto scelte utili, ma ancor insufficienti.
S'è puntato sugli sgravi fiscali per incentivare l`assunzione di
giovani, ma i giovani neo assunti sono stati soltanto settemila. Le
piccole e le grandi imprese non assumono, assumono un poco le medie
imprese, più dinamiche, più rinnovate, che esportano ancora. Si assume
un poco nei servizi, occupazione di scarsa qualità e di bassa
retribuzione. Però si continua a ragionare di costo del lavoro e di
flessibilità dell`offerta. Non si riparte così. La verità è che si
dovrebbe tornare alla vecchia ma sempre efficace pratica dell`intervento
pubblico. Per pura ipotesi, immaginiamo una sorta di servizio civile
riservato ai giovani e indirizzato a concrete attività produttive:
sarebbero centomila, centocinquantamila posti di lavoro, sarebbe più
reddito per le famiglie, sarebbero più consumi. Contribuirebbero ad un
nuovo dinamismo della società. Ma occorrono programmi. Occorre un cambio
di prospettiva. Un Paese che non sa investire, non può ripartire. Non
può superare una fase di stagnazione. È vero che l`inflazione cala. Ma
cala, perché il reddito scende e i consumi si riducono. Non c`è rimedio,
se non ci si scrolla di dosso una politica solo di contenimento».
Non ci aiuta neppure la salute dell`euro.
«Dovremmo
anche riflettere sui danni di un continuo apprezzarsi dell`euro sul
dollaro, sul rublo, sulla sterlina, su altre monete, là dove sono i
nostri mercati d`esportazione. Il problema non si pone per la Germania,
che vede le sue quote d`export prevalentemente in Europa e che così può
accumulare risorse. Per questo bisogna riaprire una discussione su quale
politica economica e quale solidarietà debbano imporsi tra i Paesi
della zona euro. Senza eurobond per gli investimenti, con un euro così
forte e con il fiscal compact, per Paesi come l`Italia la possibilità
della crescita diventa molto difficile».
Ecco, per investire occorrono risorse. Dove le troviamo? Possiamo contare sulla cosiddetta spending review?
«La
rigidità della spesa è un problema nostro, ma lo è anche di tutte le
economie. Si può rimediare? Un esempio: il decentramento sarà una
bellissima cosa, ma ha moltiplicato proprio i centri di spesa. Bisogna
decidersi: accorpare i Comuni più piccoli, superare queste Province,
pensare a Regioni più grandi. Sì: penso che si debbano anche ridisegnare
i confini di alcune Regioni. Con la riforma del sistema sanitario, che
ha eliminato piccoli presidi, ha creato collaborazione, ha unito
funzioni, i risultati sono stati positivi. Bisogna finalmente procedere.
L`obiettivo deve essere un riforma profonda del sistema delle
istituzioni».
Ieri a Roma si sono viste violenze tra le proteste dei senza casa.
«Sono
segnali preoccupanti. Nell'emergenza, la conflittualità sociale si
inasprisce. Casa e affitti sono un dramma per molti, per chi soprattutto
resta senza lavoro, gli enti locali non hanno forza economica
sufficiente per intervenire. Però questo ci dice quali rischi corriamo,
quale è la distanza tra gli argomenti di tanto dibattito politico e le
necessità di questo Paese».
Che ha bisogno di stabilità. Ma anche forse di una chiarezza politica che solo le elezioni potrebbero dare...
«Intanto è questo governo che deve rispondere alle domande di oggi, imponendosi un cambiamento di rotta.
Ed
è questo Paese che deve riscoprire ambizione, vicinanza, voglia di
agire. Purtroppo restiamo sospesi, sul filo di corda, in attesa che si
chiarisca il destino di Berlusconi e si chiariscano le scelte dentro il
Pdl. Ed è una attesa con conseguenze ogni giorno più gravi».
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