Se un tempo per vincere si cercava il messaggio unificante, oggi conta dividere ed estremizzare: gli estremisti sono ormai il centro del sistema
Matteo Orfini - Left Wing
All’origine del populismo c’è la sfiducia. Sfiducia nelle istituzioni e in tutto ciò che vi assomigli: ieri i partiti e la politica, oggi anche la stampa e i mezzi di comunicazione, la scienza, gli intellettuali, la chiesa, le ong e il mondo del volontariato. Mai avremmo immaginato un’Italia in cui si viene incriminati per aver salvato delle vite umane, in cui i bambini nelle scuole sono discriminati perché figli di poveri, in cui chi porta del pane a chi non ne ha viene aggredito, in cui persino ai parroci si impone di rinnegare il Vangelo e rifiutare la carità a chi è individuato come diverso, come non appartenente al popolo, secondo un criterio puramente etnico. Sono le cronache dell’Italia gialloverde, ma non differiscono molto, purtroppo, da quelle dell’Ungheria di Orbán e dei paesi di Visegrád, o degli Stati Uniti di Donald Trump.
Questo mondo è figlio di una lunga stagione di egemonia della destra. Una destra che di fronte al crollo del modello liberista, imposto negli anni di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, ha saputo reagire facendosi opposizione e alternativa a se stessa. Il populismo che ha cambiato il volto dell’Occidente è esploso lì, nel 2016, proprio come allora: prima in Gran Bretagna e subito dopo negli Stati Uniti, con il referendum sulla Brexit e l’elezione di Trump. Londra e Washington, capitali della “rivoluzione liberista” all’inizio degli anni ottanta, sono diventate d’un tratto – complice la crisi dell’economia mondiale innescata proprio dalle ricette reaganian-thatcheriane – le capitali della “rivoluzione populista”. Così la destra ha traghettato se stessa fuori dalla crisi che essa stessa aveva generato. È successo negli Stati Uniti ed è successo nel nostro paese.
3 maggio 2019
1 maggio 2019
La Festa del lavoro giusto
Alla festa del Primo Maggio, e a tutte le persone che ogni giorno lottano per difendere o sono alla ricerca di un lavoro, non serve la propaganda. C’è bisogno di serietà e di un nuovo governo che riporti al centro il lavoro
Paola De Micheli - Democratica
L’eclissi del lavoro. Non è uno slogan facile da sventolare nella festa del Primo Maggio: purtroppo è il principale risultato dell’azione del governo Salvini-Di Maio.
Lo dicono i numeri degli occupati in Italia, diminuiti di 35mila unità dal maggio scorso, di cui 19mila in meno a tempo indeterminato, nonostante lo scostamento in positivo di alcuni decimali secondo l’ultima rilevazione Istat. Dopo la Grecia e la Spagna siamo il paese europeo con la disoccupazione più elevata. Il Pil cresce di appena lo 0,1% in termini tendenziali contro una media UE dell’1,5%. Nel 2017 con il governo Gentiloni il Pil cresceva dell’1,7%.
La cassa integrazione è cresciuta del 6,1 % nei primi tre mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018.
Ma c’è un altro dato che forse desta ancora più preoccupazione in chiave futura, il costante calo del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese. Ad aprile abbiamo registrato il terzo mese consecutivo di contrazione.
Non ci siamo mai rallegrati di questi numeri. Che risentono naturalmente di fattori esogeni e del rallentamento dell’economia globale.
Ma proprio perché la congiuntura è difficile e il Paese oscilla tra recessione e stagnazione, è ancora più grave e colpevole la totale latitanza del governo Conte.
Oggi al timone dell’Italia ci sono le due forze politiche che più hanno fatto per promuovere un “declassamento” – anche culturale – del lavoro.
Paola De Micheli - Democratica
L’eclissi del lavoro. Non è uno slogan facile da sventolare nella festa del Primo Maggio: purtroppo è il principale risultato dell’azione del governo Salvini-Di Maio.
Lo dicono i numeri degli occupati in Italia, diminuiti di 35mila unità dal maggio scorso, di cui 19mila in meno a tempo indeterminato, nonostante lo scostamento in positivo di alcuni decimali secondo l’ultima rilevazione Istat. Dopo la Grecia e la Spagna siamo il paese europeo con la disoccupazione più elevata. Il Pil cresce di appena lo 0,1% in termini tendenziali contro una media UE dell’1,5%. Nel 2017 con il governo Gentiloni il Pil cresceva dell’1,7%.
La cassa integrazione è cresciuta del 6,1 % nei primi tre mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018.
Ma c’è un altro dato che forse desta ancora più preoccupazione in chiave futura, il costante calo del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese. Ad aprile abbiamo registrato il terzo mese consecutivo di contrazione.
Non ci siamo mai rallegrati di questi numeri. Che risentono naturalmente di fattori esogeni e del rallentamento dell’economia globale.
Ma proprio perché la congiuntura è difficile e il Paese oscilla tra recessione e stagnazione, è ancora più grave e colpevole la totale latitanza del governo Conte.
Oggi al timone dell’Italia ci sono le due forze politiche che più hanno fatto per promuovere un “declassamento” – anche culturale – del lavoro.
28 aprile 2019
Così il Pd vuole sconfiggere il sovranismo
Scritto da Redazione di Monza
26 Aprile 2019
La “nuova” Europa è quella della crescita sostenibile, del lavoro, della dignità della persona, e soprattutto è più unita e forte nel mondo. Riformata profondamente anche nelle sue istituzioni democratiche, con il principio di unanimità che non frenerà più le scelte strategiche e quelle che hanno una ricaduta sulla vita di tutti noi. Sono obiettivi ambiziosi, ma soltanto così possiamo dare un futuro all’unità del nostro continente, combattendo contro i sovranisti e i nazionalismi che vogliono soltanto la distruzione dell’Europa.
26 Aprile 2019
La “nuova” Europa è quella della crescita sostenibile, del lavoro, della dignità della persona, e soprattutto è più unita e forte nel mondo. Riformata profondamente anche nelle sue istituzioni democratiche, con il principio di unanimità che non frenerà più le scelte strategiche e quelle che hanno una ricaduta sulla vita di tutti noi. Sono obiettivi ambiziosi, ma soltanto così possiamo dare un futuro all’unità del nostro continente, combattendo contro i sovranisti e i nazionalismi che vogliono soltanto la distruzione dell’Europa.
25 aprile 2019
22 aprile 2019
Passare
Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah” che significa “passare”. Non è festa per residenti ma per coloro che sono migratori che si affrettano al viaggio.
Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza ma continuamente in movimento sulle piste. Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere, scruta perciò ogni segno di presenza. Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi. Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “passaggio”. Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca, è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai, chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credere.
Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle scritture sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme. Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un’altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale risurrezione. Pasqua è sbaraglio prescritto, unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere. Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me. Restano inaccessibili le alture della fede.
Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri ad ogni costo, atleti della parola pace.
Erri de Luca
Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza ma continuamente in movimento sulle piste. Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere, scruta perciò ogni segno di presenza. Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi. Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “passaggio”. Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca, è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai, chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credere.
Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle scritture sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme. Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un’altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale risurrezione. Pasqua è sbaraglio prescritto, unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere. Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me. Restano inaccessibili le alture della fede.
Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri ad ogni costo, atleti della parola pace.
Erri de Luca
21 aprile 2019
Buona Pasqua !!!
dal MESSAGGIO della GIORNATA della PACE 2019
di Papa Francesco
Beatitudini del politico
(del card. Van Thuan vietnamita morto nel 2002)
Beato il politico che ha un'alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo.
Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità.
Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse.
Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente.
Beato il politico che realizza l'unità.
Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale.
Beato il politico che sa ascoltare.
Beato il politico che non ha paura.
e prosegue il Papa...
Accanto alle virtù, purtroppo, anche nella politica non mancano i vizi, dovuti sia ad inettitudine personale sia a storture nell'ambiente e nelle istituzioni. E' chiaro a tutti che i vizi della vita politica tolgono credibilità ai sistemi entro i quali essa si svolge, così come l'autorevolezza, alle decisioni e all'azione delle persone che vi si dedicano. Questi vizi, che indeboliscono l'ideale di un'autentica democrazia, sono la vergogna della vita pubblica e mettono in pericolo la pace sociale: la corruzione -nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone-, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comunitarie, l'arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della "ragion di stato", la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all'esilio.
di Papa Francesco
Beatitudini del politico
(del card. Van Thuan vietnamita morto nel 2002)
Beato il politico che ha un'alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo.
Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità.
Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse.
Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente.
Beato il politico che realizza l'unità.
Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale.
Beato il politico che sa ascoltare.
Beato il politico che non ha paura.
e prosegue il Papa...
Accanto alle virtù, purtroppo, anche nella politica non mancano i vizi, dovuti sia ad inettitudine personale sia a storture nell'ambiente e nelle istituzioni. E' chiaro a tutti che i vizi della vita politica tolgono credibilità ai sistemi entro i quali essa si svolge, così come l'autorevolezza, alle decisioni e all'azione delle persone che vi si dedicano. Questi vizi, che indeboliscono l'ideale di un'autentica democrazia, sono la vergogna della vita pubblica e mettono in pericolo la pace sociale: la corruzione -nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone-, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comunitarie, l'arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della "ragion di stato", la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all'esilio.
20 aprile 2019
Migranti, così Roma comanda la Libia. La verità sui respingimenti
Alcune registrazioni nelle comunicazioni interne tra Italia e Tripoli svelano anomalie e irregolarità che rischiano di trascinare le autorità italiane davanti alle corti internazionali
Nello Scavo - Avvenire.it
La nave Mare Jonio aveva soccorso 49 persone a 40 miglia dalle coste libiche il 18 marzo, poi aveva fatto rotta su Lampedusa a causa di condizioni meteomarine avverse. La nave aveva ricevuto il divieto (mai formalizzato) di avvicinarsi alle coste italiane, ma il capitano Pietro Marrone si era rifiutato: «Abbiamo persone da mettere in sicurezza, non fermiamo i motori». Poi alle 19.30 del 19 marzo i migranti erano stati fatti sbarcare a Lampedusa.
«Ma in questi casi non c’è una procedura?», domanda sbigottito un ufficiale italiano a un collega delle Capitanerie di porto. «No - risponde l’altro - è una decisione politica del ministro, stiamo ancora aspettando le direttive». Intanto, però, senza ordini formali la nave Mare Jonio subisce un tentativo di blocco. Poche ore prima, sulle linee telefoniche Roma-Tripoli, si era consumato l’ennesimo riservatissimo scaricabarile a danno dei migranti.
L’inchiesta giornalistica che viene pubblicata oggi in contemporanea da un pool di testate internazionali e per l'Italia Avvenire e Repubblica svela anomalie e irregolarità. Tra questi alcune registrazioni audio (disponibili sul canale Youtube di Avvenire) ottenute nel corso di indagini difensive, che rischiano di trascinare le autorità della penisola davanti alle corti internazionali che stanno investigando sui respingimenti e i morti in mare.
L’ascolto di tutte le registrazioni audio e l’esame della documentazione lasciano sul campo molte domande. A cominciare da quelle sulla reale capacità della Guardia costiera libica di intervenire, ma che segretamente ottiene la supplenza di militari italiani. Abbiamo ricostruito i momenti ad alta tensione con vite alla deriva, mentre tra Roma e Tripoli passano minuti e ore prima che qualcuno provi a darsi davvero una mossa. L’unica certezza è che bisognava fare il possibile perché non intervenissero i soccorritori della missione civile italiana.
Continua a leggere...»
Nello Scavo - Avvenire.it
La nave Mare Jonio aveva soccorso 49 persone a 40 miglia dalle coste libiche il 18 marzo, poi aveva fatto rotta su Lampedusa a causa di condizioni meteomarine avverse. La nave aveva ricevuto il divieto (mai formalizzato) di avvicinarsi alle coste italiane, ma il capitano Pietro Marrone si era rifiutato: «Abbiamo persone da mettere in sicurezza, non fermiamo i motori». Poi alle 19.30 del 19 marzo i migranti erano stati fatti sbarcare a Lampedusa.
«Ma in questi casi non c’è una procedura?», domanda sbigottito un ufficiale italiano a un collega delle Capitanerie di porto. «No - risponde l’altro - è una decisione politica del ministro, stiamo ancora aspettando le direttive». Intanto, però, senza ordini formali la nave Mare Jonio subisce un tentativo di blocco. Poche ore prima, sulle linee telefoniche Roma-Tripoli, si era consumato l’ennesimo riservatissimo scaricabarile a danno dei migranti.
L’inchiesta giornalistica che viene pubblicata oggi in contemporanea da un pool di testate internazionali e per l'Italia Avvenire e Repubblica svela anomalie e irregolarità. Tra questi alcune registrazioni audio (disponibili sul canale Youtube di Avvenire) ottenute nel corso di indagini difensive, che rischiano di trascinare le autorità della penisola davanti alle corti internazionali che stanno investigando sui respingimenti e i morti in mare.
L’ascolto di tutte le registrazioni audio e l’esame della documentazione lasciano sul campo molte domande. A cominciare da quelle sulla reale capacità della Guardia costiera libica di intervenire, ma che segretamente ottiene la supplenza di militari italiani. Abbiamo ricostruito i momenti ad alta tensione con vite alla deriva, mentre tra Roma e Tripoli passano minuti e ore prima che qualcuno provi a darsi davvero una mossa. L’unica certezza è che bisognava fare il possibile perché non intervenissero i soccorritori della missione civile italiana.
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La scrittrice Michela Murgia risponde alle offese di Matteo Salvini con il gioco della "sinossi dei curriculum"
L'autrice di "Accabadora" ricorda quando era studente lavoratrice, poi insegnante precaria, operaia in una centrale termoelettrica e ancora cameriera d'albergo e infine operatrice di un call center prima di arrivare ai successi editoriali. "Lei invece, signor ministro?"
Repubblica.it
Michela Murgia risponde per le rime all'ennesimo tweet offensivo di Matteo Salvini che ha definito la scrittrice, autrice del bestseller "Accabadora" e vincitrice dei premi Campiello, Dessì e SuperMondello, una "intellettuale radical chic e snob". Murgia replica al ministro dell'Interno con un lungo post su Facebook proponendogli un gioco, la "sinossi dei curriculum".
"Nel '91, anno in cui mi diplomavo come perito aziendale - esordisce la scrittrice - mi pagavo l’ultimo anno di studi lavorando come cameriera stagionale in una pizzeria. Purtroppo feci quasi due mesi di assenza perché la domenica finivo di lavorare troppo tardi e il lunedì mattina non sempre riuscivo ad alzarmi in tempo per prendere l’autobus alle 6,30 per andare a scuola. A causa di quelle assenze, alla maturità presi 58/60esimi".
Repubblica.it
Michela Murgia risponde per le rime all'ennesimo tweet offensivo di Matteo Salvini che ha definito la scrittrice, autrice del bestseller "Accabadora" e vincitrice dei premi Campiello, Dessì e SuperMondello, una "intellettuale radical chic e snob". Murgia replica al ministro dell'Interno con un lungo post su Facebook proponendogli un gioco, la "sinossi dei curriculum".
"Nel '91, anno in cui mi diplomavo come perito aziendale - esordisce la scrittrice - mi pagavo l’ultimo anno di studi lavorando come cameriera stagionale in una pizzeria. Purtroppo feci quasi due mesi di assenza perché la domenica finivo di lavorare troppo tardi e il lunedì mattina non sempre riuscivo ad alzarmi in tempo per prendere l’autobus alle 6,30 per andare a scuola. A causa di quelle assenze, alla maturità presi 58/60esimi".
19 aprile 2019
Via Crucis. Suor Bonetti: Mediterraneo tomba d'acqua mentre i governi discutono
Le meditazioni della Passione scritte dalla religiosa che da anni salva dal marciapiede le ragazze costrette a prostituirsi. «Nelle vittime di tratta Gesù crocifisso di nuovo sulla strada»
Luca Liverani - Avvenire.it
«Porterò nella Via Crucis al Colosseo la sofferenza e la Passione di tante donne. Tante minorenni senza volto e senza speranze, donne usa e getta». Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, da vent'anni lotta per liberare tante donne dalla schiavitù dello sfruttamento sessuale. Ed è a lei che il Papa, tramite il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la Cultura, ha chiesto di scrivere le meditazioni della Via Crucis che viene guidata come ogni anno dal Papa davanti al Colosseo. «Cristo muore ancora sulle nostre strade, ma per fortuna ci sono anche tante Veroniche che ne asciugano le lacrime, tante Marie che le sostengono nelle loro sofferenze», ha detto la religiosa, incontrando gli operatori dei media nella Sala Stampa della santa Sede.
Suor Eugenia racconta sorridendo di quando il cardinale Ravasi all'inizio di marzo le ha chiesto di scrivere le meditazioni: «Mi ha lasciato di stucco, non avevo idea di cosa scrivere. Mi ha detto: «Le do tempo per dirmi di sì, ma non mi dica di no». Dopo 24 anni in Kenya, suor Eugenia viene mandata a Torino in un centro di ascolto per stranieri. Ed è un incarico in cui inizialmente si trova a disagio.
Luca Liverani - Avvenire.it
«Porterò nella Via Crucis al Colosseo la sofferenza e la Passione di tante donne. Tante minorenni senza volto e senza speranze, donne usa e getta». Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, da vent'anni lotta per liberare tante donne dalla schiavitù dello sfruttamento sessuale. Ed è a lei che il Papa, tramite il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la Cultura, ha chiesto di scrivere le meditazioni della Via Crucis che viene guidata come ogni anno dal Papa davanti al Colosseo. «Cristo muore ancora sulle nostre strade, ma per fortuna ci sono anche tante Veroniche che ne asciugano le lacrime, tante Marie che le sostengono nelle loro sofferenze», ha detto la religiosa, incontrando gli operatori dei media nella Sala Stampa della santa Sede.
Suor Eugenia racconta sorridendo di quando il cardinale Ravasi all'inizio di marzo le ha chiesto di scrivere le meditazioni: «Mi ha lasciato di stucco, non avevo idea di cosa scrivere. Mi ha detto: «Le do tempo per dirmi di sì, ma non mi dica di no». Dopo 24 anni in Kenya, suor Eugenia viene mandata a Torino in un centro di ascolto per stranieri. Ed è un incarico in cui inizialmente si trova a disagio.
16 aprile 2019
Parigi: silenzio!
“Noi siamo stati devastati dal fuoco e ogni volta siamo rinati. Accadrà anche a voi, non abbiate paura, amici!”.
Queste le parole che ci ricordano la solidarietà del Teatro la Fenice di Venezia, andato a fuoco due volte.
Quel che succede, non permette di dimenticarci del passato.
Queste le parole che ci ricordano la solidarietà del Teatro la Fenice di Venezia, andato a fuoco due volte.
Quel che succede, non permette di dimenticarci del passato.
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