Ne sono passati trentaquattro, eppure ogni anno, il 16
marzo (uccisione dei cinque agenti della scorta e cattura
dell'onorevole Moro) e il 9 maggio (ritrovamento del cadavere dello
statista democristiano) sono occasione per riflettere non soltanto su
una delle pagine più drammatiche della vita della repubblica, ma anche
sullo straordinario magistero di uno dei suoi protagonisti più
importanti. Moro non è stato infatti soltanto un dirigente di partito e
uomo di governo a livelli di massima responsabilità, ma è stato
"l'architetto" dell'allargamento e del compimento della democrazia e,
come tale, uno dei maggiori pensatori e ideatori di processi politici
nuovi.
È stato l'uomo che ha respirato con i polmoni della storia, cogliendo anche i sintomi più flebili dei cambiamenti che spesso sovrastavano la "sovranità" della politica, cercando di rintracciare in ognuno di essi ragioni di speranza e fiducia. È stato uomo che ha sempre abitato serenamente il suo tempo, amato come dono della Provvidenza.
È stato l'uomo che ha respirato con i polmoni della storia, cogliendo anche i sintomi più flebili dei cambiamenti che spesso sovrastavano la "sovranità" della politica, cercando di rintracciare in ognuno di essi ragioni di speranza e fiducia. È stato uomo che ha sempre abitato serenamente il suo tempo, amato come dono della Provvidenza.
Rileggendo
la sua immensa produzione culturale, spirituale e politica si trovano
pagine che, pur scritte in un tempo assai diverso, possono illuminare
quello che stiamo vivendo. A proposito di una emergenza che costrinse
alla collaborazione forze politiche che prima di allora si erano sempre
contrapposte, scriveva ad esempio: "Abbiamo un'emergenza economica e
un'emergenza politica. Io sento parlare di opposizione, del gioco della
maggioranza e dell'opposizione. Sono in linea di principio pienamente
d'accordo... Ma immaginate cosa avverrebbe in Italia in questo momento
storico se fosse condotta fino in fondo la logica dell'opposizione, se
questo paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili fosse
messo ogni giorno alla prova da una opposizione condotta fino in fondo?
Ecco che cosa è l'emergenza, ed ecco che cosa consiglia una sorta di
tregua che suggerisce di riflettere su un modo accettabile per uscire da
questa crisi" (febbraio 1978).
E, prima ancora,
rivolgendosi agli altri partiti, aveva scritto "Non sempre ci siamo
trovati concordi nelle stesse posizioni, ma abbiamo saputo sempre di non
essere estranei gli uni agli altri, di avere un patrimonio comune che
nell'interesse del paese, quali che siano le vicende nei tempi che
cambiano, è doveroso non disperdere… Non è importante che pensiamo le
stesse cose, che immaginiamo lo stesso identico destino, ma è invece
straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio
originale contributo per la salvezza dell'uomo e del mondo, tutti
abbiamo il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile
nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità,
tutti collegati l'uno all'altro nella comune accettazione di essenziali
ragioni di libertà e di dialogo" (Il Giorno, 17 aprile 1977).
Pur
essendo diversi i tempi e le condizioni storico-politiche, non v'è chi
non veda in queste parole la descrizione delle stesse ragioni che hanno
portato solo quattro mesi fa alla nascita del governo Monti e della
"strana" maggioranza che lo sostiene. Il dibattito di oggi peraltro
riguarda già ciò che avverrà dopo questa fase politica, un "dopo" che
non sarà identico al "prima", perché le ragioni profonde, che lo stesso
governo Monti sta per alcuni aspetti inaspettatamente rivelando,
attengono a un cambiamento già intervenuto nella società italiana, di
cui il distanziamento dalla politica e dai partiti è solo un sintomo, in
parte giustificato proprio dall'accusa rivolta alla politica e ai
partiti di non conoscere più il paese e di temere il confronto con ciò
che è cambiato. L'accusa di non amare questo tempo. Scriveva Moro ancora
molti anni fa (Al di là della politica e altri scritti, ed. Studium,
p.89): "Come ci piace straniarci dal nostro tempo per scuotere da noi
pesanti e fastidiose responsabilità! Non amiamo il nostro tempo perché
non vogliamo fare la fatica di capirlo nel suo vero significato, in
questo emergere impetuoso di nuove ragioni di vita, in questa fresca
misteriosa giovinezza del mondo".
Certo per i
partiti è sempre stato difficile ripensare se stessi, il modo di farsi,
di essere e di rapportarsi con la realtà; di fronte all'esigenza di
cambiarsi capita infatti spesso che si richiudano a riccio per fare ciò
che già sanno e sperimentare ciò che già fanno. È ancora Moro ad
invitare il partito (Scritti e discorsi, volume V, ed. Cinque Lune, p.
3410) ad "aprire finalmente le finestre di questo castello nel quale
siamo arroccati per far entrare il vento della vita che soffia intorno a
noi. Non è un fatto di vita interna di partito, di distribuzione di
potere, ma di necessità di un grande nuovo dibattito con l'intero paese…
come condizione essenziale di sviluppo politico, un modo per dominare
gli avvenimenti, non costringendoli fin quando si può ma assumendoli
come dati importanti inseriti ordinatamente in una attenta dinamica
sociale".
E, nel congresso della Dc del 1976,
trentasei anni fa, veramente tanti anche se non sembrano così lontani, a
proposito delle novità "che si annunciano all'orizzonte", dirà: "Chi
non può negare che il riconoscimento del valore della donna, della sua
originalità, della sua ricchezza, la sua reale indipendenza ed
uguaglianza sia un problema eludibile e cruciale dello sviluppo storico?
Chi può ignorare lo spirito dirompente dei giovani e un diritto di
successione rivoluzionaria che non può essere contestata né aggirata con
false promesse? Chi può disconoscere il peso radicalmente nuovo che i
lavoratori hanno nell'organizzazione sociale, il loro incomprimibile
diritto di non essere mero strumento, dove si prendono decisioni
politiche o si svolge il loro lavoro, del potere altrui? Questo è il
compito della nostra epoca. Il tema dei diritti è ancora centrale nella
nostra dialettica politica. Di fronte a questa fioritura la politica
deve essere conscia del proprio limite, pronta a piegarsi su questa
nuova realtà che le toglie la rigidezza della ragione di stato per darle
il respiro della ragione dell'uomo". Mi pare che altro non serva. Serve
solo meditare.
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