|
|
|
|
- Alexander Langer stato un politico e attivista, nato nel 1946 a Vipiteno, è morto suicida nel 1995. E’ stato tra i fondatori del partito dei Verdi italiani e uno dei leader del movimento verde europeo.
- Si è occupato molto della situazione dell'Alto Adige e in particolare il rapporto tra le diverse comunità linguistiche e della la situazione dei paesi dell'Europa dell'est.
- «La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile», è una delle sue frasi più celebri e che come attivista ambientale condivido maggiormente.
Sono nata nel 1995 e mi ha sempre colpita che proprio in quell’anno Alexander Langer scelse di togliersi la vita. La sua figura, che ho incontrato nel mio impegno ecologista, parla ancora con grande potenza alle nuove generazioni. Langer è stato uno scrittore, un giornalista e uno dei più grandi ambientalisti europei.
La situazione della sua terra d’origine, l’Alto Adige, fu particolarmente importante nella sua formazione per il difficile rapporto tra le diverse comunità linguistiche.
Il legame tra la conversione ecologica e la convivenza inter-etnica traccia una cornice che inquadra il nostro impegno con intuizioni di un’attualità sorprendente: già in pieni anni Ottanta richiamava alla necessità di ripristinare un equilibrio ecologico e di attuare una conversione ecologica ed economica della società.
«La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile», è una delle sue frasi più celebri e che, come attivista ambientale, condivido maggiormente.
La crisi climatica è anche una crisi della cultura. Se ognuno di noi fosse consapevole che ogni sua scelta ha un’impronta, un peso, sul pianeta di cui siamo ospiti , saremmo tutti più disposti a cambiare, anche di qualche virgola, il nostro modo di vivere.
Con una delibera, la giunta riattiva la struttura voluta da Fontana e recluta i medici e gli infermieri degli altri ospedali lombardi
La Regione Lombardia deve recuperare, per la riapertura dell’Ospedale in Fiera a Milano, 153 medici intensivisti e 459 infermieri, operatori che non ci sono e che quindi sottrarrà ai diversi territori, indebolendone la capacità di cura. Il tutto per attrezzare una struttura che non può contare su nessuna specializzazione e può quindi in realtà curare solo i malati meno gravi. La Regione fa esattamente quello che, a detta di tutti i maggiori esperti, non va fatto: sguarnisce la sanità territoriale per investire in un unico hub.
Trasferimento volontario? Solo sulla carta, a quanto pare. Perché, stando alle diverse segnalazioni pervenute al capogruppo dem Fabio Pizzul, Regione Lombardia, per la riattivazione del cosiddetto ospedale in fiera di Milano, sta operando forti pressioni su medici e infermieri affinché si trasferiscano da altri ospedali.
“È stato evidente fin dall’annuncio del progetto, all’inizio del mese di marzo, che il principale problema sarebbe stato quello del reperimento del personale necessario per il suo funzionamento. La delibera con cui si riapre, di fatto, la struttura, prevede il coinvolgimento di ben undici ospedali della regione, con precisazione riguardo la necessità di reperire personale qualificato, a fronte di una disponibilità, preferibilmente, in forma volontaria. Ci sembra che ci sia stata una grande sottovalutazione del possibile impatto di questa scelta sugli ospedali chiamati in causa. Ci risulta anche che la volontarietà del coinvolgimento sia solo sulla carta e che ci siano forti pressioni sul personale e sulle strutture che non contribuiscono certo a creare i presupposti per una buona gestione dell’emergenza”.
La condanna dell’università di Al-Azhar, la massima autorità dell’islam sunnita, è senza ambiguità: «Sono gesti terroristici orrendi e non possono essere ispirati da nessuna fede religiosa. Non bisogna abbassare la guardia sui discorsi di odio, intolleranza e violenza». Davanti alle tragiche uccisioni di Nizza (dopo quella di Parigi), per andare oltre le emozioni e trovare le giuste risposte, è necessario far luce su ciò che ha portato l’islam ad essere percepito come una minaccia globale e che rischia di scavare un abisso tra i suoi seguaci e il resto del mondo. Non solamente gli occidentali ma anche gli induisti, i cinesi, i russi, la gran parte dei popoli asiatici e africani, guardano oggi all’islam con grande sospetto e spesso con astio. Nell’immaginario collettivo globale, della nota teoria del “clash tra civiltà” (ciclicamente sostenuta o avversata) oggi resta soprattutto una paura diffusa dell’islam. Ai non musulmani quest’ultimo pare essere alieno alla convivenza globale. Sono sempre più numerosi gli osservatori occidentali o asiatici pronti ad affermare che il problema risiede nell’islam stesso: una religione intrinsecamente violenta ed eversiva da contenere solo con la forza.
Sette giorni d'attesa per un tampone, quarantene tardive, ritardi nell'isolamento dei malati. Così in Brianza muore il contact tracing. A denunciarlo sono i medici di famiglia che in questi giorni si sono riuniti proprio per affrontare il nodo "dell'incremento esponenziale di casi di Covid-19 e di conseguenza dell'incremento di lavoro e rischio a cui i medici di medicina generale del territorio di Ats Brianza sono sottoposti ed esposti ogni giorno". A tracciare un quadro sono i rappresentanti della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) Monza e Lecco.
Sono giorni difficili per quest'area della Lombardia. In particolare, la provincia di Monza e Brianza ieri era alla soglia dei mille positivi giornalieri. "In questi giorni di risalita della curva dei contagi la nostra Ats ha presentato le maggiori criticità nella funzione del Dipartimento di Igiene e Prevenzione e Salute (Dips)", scrivono ai colleghi delle sezioni provinciali Marino Lafranconi (segretario Fimmg Lecco), Carlo Maria Teruzzi, segretario Fimmg Monza, insieme ai colleghi Marco Grendele, Domenico Picone, Aurelio Limonta.
Elencano le gravi criticità che stanno incontrando in questi giorni: "Il fallimento del lavoro di contact tracing nel sottoporre a tampone tempestivamente i pazienti sospetti e i contatti dei casi accertati e la sostanziale incapacità dei punti tampone messi in campo da Ats". Il problema è che "l'attesa di un tampone ormai si attesta intorno ai 7 giorni dalla segnalazione sul Portale - incalzano i camici bianchi - In taluni casi i pazienti vengono contattati direttamente in decima giornata per la riammissione a lavoro. I reiterati ritardi nell'erogazione dei protocolli di isolamento per i casi Covid sospetti o accertati e di quarantena per i contatti stretti".
|
Aluisi Tosolini dirige il Liceo Bertolucci di Parma. Da lunedì parte il GOL: un giorno alla settimana a casa in didattica a distanza. Per alleggerire la pressione sui trasporti, certo, ma soprattutto per poter mettere in campo quelle didattiche di cooperative learning che la scuola in presenza oggi non permette. «Le scuole hanno fatto i compiti e sono divenute centri di innovazione didattica e digitale. Per questo è sbagliato ragionare solo in termini di aperto/chiuso, servono scelte "personalizzate". Chiudere tutto è la scelta più facile, ma è una sconfitta»
di Sara De Carli (redazione di VITA)
Aluisi Tosolini ha parole chiare: la chiusura delle scuole in blocco è una «sconfitta per tutti». Campania, Lombardia, Lazio e Liguria sono le prime regioni ad aver preso un provvedimento in questo senso, con scelte differenti da una regione all’altra. «Finalmente c’è un ragionamento territorialmente mirato e questo è positivo poiché è evidente che non tutti i contesti territoriali hanno bisogno della stessa “cura da cavallo”», commenta il dirigente del Liceo Bertolucci di Parma. Però non è ancora abbastanza: «Siamo sicuri, allora, che la situazione a Chiavenna sia uguale a quella di Milano, giusto per stare alla Lombardia? Credo proprio di no. E allo stesso modo, sulla proposta di iniziare alle 9, in una città di medie dimensioni come Parma, dove le corriere essenzialmente portano in città solo gli studenti dalla provincia, spostare l’ingresso dalle 8 alle 9 significa solo spostare il traffico dalle 8 alle 9, non alleggerirlo alle 8. Nelle città, con la metropolitana, le cose sono diverse. Mi sembra venga messa a prova l’autonomia, come se proprio quelli che l’hanno tanto cercata ora non la volessero più. Qui in Emilia Romagna - almeno mia provincia – è stato messo in piedi una sorta di microgruppo di lavoro tra provincia, sanità, scuole e trasporti per rispondere velocemente all’evoluzione dei dati. Perché è chiaro che se ce ne fosse bisogno la scuola va chiusa, non siamo qui a dire che non si deve chiudere o che la scuola va tenuta aperta ad ogni costo. Soltanto diciamo “non si scelga sempre la strada più facile”».
È così che Nino Caianiello, chiama Attilio Fontana: il front office, un politico che mette la faccia su decisioni di altri. Una sorta di fantoccio da usare alla bisogna.
Nino Caianello è stato un esponente di spicco del centro destra Lombardo, già arrestato per corruzione nel 2019.
Lo ha intervistato lunedì 19 ottobre 2020 Report, Rai 3, che con una inchiesta giornalistica ha fatto emergere una trama sconvolgente di conflitti di interessi e appalti truccati, incarichi professionali alla figlia del Presidente, fino ad arrivare ai rapporti di alcuni esponenti della destra con la ‘ndrangheta. Questo è lo scenario emerso ieri sera nella descrizione dei meccanismi di Regione Lombardia.
Al di là delle vicende giudiziarie, che ci interessano il giusto, emerge una gestione del potere scanzonata dove chi riveste un ruolo apicale non ha tutte le leve del potere, e dove spesso sussiste un sottobosco di piccoli leader che impongono le proprie persone e le proprie scelte, lontano dalle telecamere e dalle istituzioni.
A marzo dell’anno scorso, mentre la pandemia imperversava furiosa in Lombardia, mentre migliaia di uomini e donne morivano anche per la scelta scellerata della giunta regionale di ricoverare nelle stesse strutture anche i pazienti Covid positivi dimessi dagli ospedali, mentre gli ospedali traboccavano di pazienti per una medicina territoriale martoriata dalle destre, il Presidente Attilio Fontana era intento a pasticciare tra fondi esteri e appalti che riguardavano le aziende di famiglia. Ma in modo ancora più grave, in quell’occasione, mentiva ai cittadini lombardi, affermando di non sapere nulla dell’appalto e sostenendo che la fornitura di camici da parte dell’azienda del cognato fosse una donazione (anche se le due procedure burocratiche – l’affidamento diretto e la donazione – seguono iter molto differenti nella pubblica amministrazione).