9 novembre 2020

Ecco perché il Pil non rende felici. Così nel 2030 avremo bisogno di due pianeti.

Il Pil misura un'economia ma non è in grado di quantificare benessere e felicità. Chi lo ha detto? Lo stesso Simon Kuznets che nel 1934 inventò il Pil. 

Robert Kennedy, ex-senatore statunitense ed ex candidato alla presidenza, nonché fratello di John Fitzgerald Kennedy (35esimo presidente degli Usa). È passato alla storia soprattutto per un discorso durissimo nei confronti del Pil, che tenne il 18 marzo del 1968 presso l'università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava, tra l'altro, l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Tre mesi dopo veniva ucciso durante la sua campagna elettorale in un attentato a Los Angeles, all'indomani della sua vittoria nelle elezioni primarie di California e Dakota del Sud che lo avrebbe probabilmente portato a divenire Presidente degli Stati Uniti d'America.



George Bernard Shaw una volta ha scritto: << Alcuni uomini vedono le cose così come sono e si domandano: “Perché?”. Io sogno cose che non sono mai state e mi domando: “Perché no?”>>.

8 novembre 2020

Riprende l’attività di "Fare Brianza" (incontro in videoconferenza)

Carissime, carissimi,

in un momento così difficile la politica dovrebbe dare il meglio di sé
C’è,  invece, in atto in Lombardia il tentativo di giovarsene elettoralmente cercando un facile consenso approfittando delle preoccupazioni e delle ansie che attanagliano larga parte delle nostre comunità.
Oggi più che mai è necessario rispettare le regole fidandosi delle istituzioni. Ma è anche necessario guardare avanti e lavorare per costruire progetti per il futuro che migliorino le strutture sanitarie e rilancino economia e lavoro.
La sanità in particolare avrà bisogno di una riforma importante per colmare le lacune di una medicina territoriale che, in questi anni, è stata colpevolmente smantellata, per recuperare una relazione tra medici di base e medici ospedalieri, per far crescere la ricerca e la digitalizzazione. Necessita, inoltre, porre di nuovo al centro del dibattito l’integrazione tra  medicina pubblica e privata ripristinando un rapporto sano e complementare.

Per aiutarci a riflettere e a stare insieme, anche se solo virtualmente, vi propongo di vederci:

lunedì 9 novembre 2020 alle ore 21:00 con Fabio Pizzul

per approfondire con lui i contenuti del suo libro: "Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici. La democrazia dopo il Covid-19"

7 novembre 2020

SettegiorniPD in Regione Lombardia

   La Newsletter del Partito Democratico del Consiglio regionale della Lombardia

L'Editoriale Il tempo imperfetto

Qualche giorno fa, con il ritorno dell’ora solare, abbiamo tirato indietro di un’ora i nostri orologi. Oggi siamo costretti a tirarli indietro di qualche mese: ripiombiamo in un blocco che speravamo di aver scongiurato. Obiettivo comune deve essere quello di uscirne il prima possibile, ma non siamo arrivati fin qui per un tragico e beffardo gioco della sorte.
Avevamo mesi per prepararci, abbiamo preferito fingere che tutto fosse passato.
In Lombardia avevamo capito e pagato più che altrove la fragilità del sistema sanitario territoriale; avevamo notato come il virus corresse lungo le principali direttrici di trasporto merci e persone; eravamo sconcertati dall’impreparazione e dalla litigiosità istituzionale di chi è alla guida della regione.
Purtroppo i verbi andrebbero coniugati al passato remoto piuttosto che all’imperfetto, perché pare che l’esperienza sia rimasta confinata alla scorsa primavera: abbiamo visto ripetersi le stesse situazioni.
Di fronte a un sistema sanitario già a rischio collasso, a trasporti sovraffollati, a istituzioni balbettanti e litigiose non ci poteva essere che una soluzione: il blocco delle attività più a rischio per evitare assembramenti e frenare così la diffusione del virus. La scelta del Governo non è un giudizio negativo su un territorio o su un’intera popolazione, come qualcuno vorrebbe far credere, è piuttosto l’estremo tentativo di evitare un nuovo disastro, umano prima ancora che economico. I cittadini lombardi si sono dimostrati in questi mesi all’altezza della sfida; le istituzioni hanno ora un’occasione, forse l’ultima, per dimostrarlo.

Lombardia zona Rossa Perché?

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4 novembre 2020

Per il mondo dopo il Covid, guardiamo ad Alexander Langer

di Sarah Brizzolara - Domani


- Alexander Langer stato un politico e attivista, nato nel 1946 a Vipiteno, è morto suicida nel 1995. E’ stato tra i fondatori del partito dei Verdi italiani e uno dei leader del movimento verde europeo.

- Si è occupato molto della situazione dell'Alto Adige e in particolare il rapporto tra le diverse comunità linguistiche e della la situazione dei paesi dell'Europa dell'est.

- «La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile», è una delle sue frasi più celebri e che come attivista ambientale condivido maggiormente.


Sono nata nel 1995 e mi ha sempre colpita che proprio in quell’anno Alexander Langer scelse di togliersi la vita. La sua figura, che ho incontrato nel mio impegno ecologista, parla ancora con grande potenza alle nuove generazioni. Langer è stato uno scrittore, un giornalista e uno dei più grandi ambientalisti europei.

La situazione della sua terra d’origine, l’Alto Adige, fu particolarmente importante nella sua formazione per il difficile rapporto tra le diverse comunità linguistiche.

Il legame tra la conversione ecologica e la convivenza inter-etnica traccia una cornice che inquadra il nostro impegno con intuizioni di un’attualità sorprendente: già in pieni anni Ottanta richiamava alla necessità di ripristinare un equilibrio ecologico e di attuare una conversione ecologica ed economica della società.

«La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile», è una delle sue frasi più celebri e che, come attivista ambientale, condivido maggiormente.

La crisi climatica è anche una crisi della cultura. Se ognuno di noi fosse consapevole che ogni sua scelta ha un’impronta, un peso, sul pianeta di cui siamo ospiti , saremmo tutti più disposti a cambiare, anche di qualche virgola, il nostro modo di vivere.

3 novembre 2020

OSPEDALE IN FIERA: AAA PERSONALE CERCASI

Con una delibera, la giunta riattiva la struttura voluta da Fontana e recluta i medici e gli infermieri degli altri ospedali lombardi

La Regione Lombardia deve recuperare, per la riapertura dell’Ospedale in Fiera a Milano, 153 medici intensivisti e 459 infermieri, operatori che non ci sono e che quindi sottrarrà ai diversi territori, indebolendone la capacità di cura. Il tutto per attrezzare una struttura che non può contare su nessuna specializzazione e può quindi in realtà curare solo i malati meno gravi. La Regione fa esattamente quello che, a detta di tutti i maggiori esperti, non va fatto: sguarnisce la sanità territoriale per investire in un unico hub.

Trasferimento volontario? Solo sulla carta, a quanto pare. Perché, stando alle diverse segnalazioni pervenute al capogruppo dem Fabio Pizzul, Regione Lombardia, per la riattivazione del cosiddetto ospedale in fiera di Milano, sta operando forti pressioni su medici e infermieri affinché si trasferiscano da altri ospedali.

“È stato evidente fin dall’annuncio del progetto, all’inizio del mese di marzo, che il principale problema sarebbe stato quello del reperimento del personale necessario per il suo funzionamento. La delibera con cui si riapre, di fatto, la struttura, prevede il coinvolgimento di ben undici ospedali della regione, con precisazione riguardo la necessità di reperire personale qualificato, a fronte di una disponibilità, preferibilmente, in forma volontaria. Ci sembra che ci sia stata una grande sottovalutazione del possibile impatto di questa scelta sugli ospedali chiamati in causa. Ci risulta anche che la volontarietà del coinvolgimento sia solo sulla carta e che ci siano forti pressioni sul personale e sulle strutture che non contribuiscono certo a creare i presupposti per una buona gestione dell’emergenza”.

2 novembre 2020

I terroristi tolgono l’islam dalla storia per usarlo come arma


di Mario Giro (politologo, già vice ministro degli affari esteri, è professore in relazioni internazionale all'Università per stranieri di Perugia) - Domani

  • Anni fa l’islam era visto in maniera molto più simpatica se non esotica. Ma oggi la propaganda dei numerosi gruppi radicali islamisti, terroristi e jihadisti, è imperniata su un linguaggio e su concetti islamici che mirano ad una “guerra permanente”.

  • Dietro la terminologia islamica dei jihadisti contemporanei si cela una trasformazione: un neo-prodotto religioso che strumentalizza la religione mediante un mix di concetti rimaneggiati, di provenienza non islamica e anche occidentale.

  • Il problema è che l’islam tradizionale pare cedere a tale versione senza riuscire a ribellarsi. Del resto, fin dall’epoca coloniale l’islam riformista-conservatore è evoluto lungo la doppia cifra della competizione ed imitazione dell’Occidente. Una specie di odio/amore.

La condanna dell’università di Al-Azhar, la massima autorità dell’islam sunnita, è senza ambiguità: «Sono gesti terroristici orrendi e non possono essere ispirati da nessuna fede religiosa. Non bisogna abbassare la guardia sui discorsi di odio, intolleranza e violenza». Davanti alle tragiche uccisioni di Nizza (dopo quella di Parigi), per andare oltre le emozioni e trovare le giuste risposte, è necessario far luce su ciò che ha portato l’islam ad essere percepito come una minaccia globale e che rischia di scavare un abisso tra i suoi seguaci e il resto del mondo. Non solamente gli occidentali ma anche gli induisti, i cinesi, i russi, la gran parte dei popoli asiatici e africani, guardano oggi all’islam con grande sospetto e spesso con astio. Nell’immaginario collettivo globale, della nota teoria del “clash tra civiltà” (ciclicamente sostenuta o avversata) oggi resta soprattutto una paura diffusa dell’islam. Ai non musulmani quest’ultimo pare essere alieno alla convivenza globale. Sono sempre più numerosi gli osservatori occidentali o asiatici pronti ad affermare che il problema risiede nell’islam stesso: una religione intrinsecamente violenta ed eversiva da contenere solo con la forza.

31 ottobre 2020

Covid, la denuncia: così in Brianza muore il contact tracing

Sette giorni d'attesa per un tampone, quarantene tardive, ritardi nell'isolamento dei malati. Così in Brianza muore il contact tracing. A denunciarlo sono i medici di famiglia che in questi giorni si sono riuniti proprio per affrontare il nodo "dell'incremento esponenziale di casi di Covid-19 e di conseguenza dell'incremento di lavoro e rischio a cui i medici di medicina generale del territorio di Ats Brianza sono sottoposti ed esposti ogni giorno". A tracciare un quadro sono i rappresentanti della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) Monza e Lecco.

Sono giorni difficili per quest'area della Lombardia. In particolare, la provincia di Monza e Brianza ieri era alla soglia dei mille positivi giornalieri. "In questi giorni di risalita della curva dei contagi la nostra Ats ha presentato le maggiori criticità nella funzione del Dipartimento di Igiene e Prevenzione e Salute (Dips)", scrivono ai colleghi delle sezioni provinciali Marino Lafranconi (segretario Fimmg Lecco), Carlo Maria Teruzzi, segretario Fimmg Monza, insieme ai colleghi Marco Grendele, Domenico Picone, Aurelio Limonta.

Elencano le gravi criticità che stanno incontrando in questi giorni: "Il fallimento del lavoro di contact tracing nel sottoporre a tampone tempestivamente i pazienti sospetti e i contatti dei casi accertati e la sostanziale incapacità dei punti tampone messi in campo da Ats". Il problema è che "l'attesa di un tampone ormai si attesta intorno ai 7 giorni dalla segnalazione sul Portale - incalzano i camici bianchi - In taluni casi i pazienti vengono contattati direttamente in decima giornata per la riammissione a lavoro. I reiterati ritardi nell'erogazione dei protocolli di isolamento per i casi Covid sospetti o accertati e di quarantena per i contatti stretti".

27 ottobre 2020

Dalla terra alla terra: come la bioplastica può salvare il pianeta

Il suolo che calpestiamo ogni giorno è in pericolo.
Diversi agenti lo depauperano mettendo a rischio il nostro futuro.
Eppure basterebbe poco per rigenerare risorse anziché distruggerle.
Un esempio? Il compost

Già nel Medioevo avevano compreso quanto fosse rischioso impoverire un terreno dei suoi minerali. La messa a maggese (ossia a riposo) della terra, unita alla tecnica della rotazione triennale delle colture, fu uno degli elementi chiave per la sopravvivenza e la rinascita economica dopo una crisi. Sono nozioni che si imparano alle scuole medie, che si conoscono da migliaia di anni, eppure il problema del consumo del suolo è oggi più che mai presente e pressante: secondo la FAO un terzo di quello del mondo è oggi degradato e colpito da processi di salinizzazione, compattazione, acidificazione e deperimento dei nutrienti.

SOS: salviamo la terra, letteralmente
Il suolo è una risorsa non rinnovabile: per formarne uno strato di soli 10 centimetri ci vogliono duemila anni. Ecco perché è importante preservarlo dal depauperamento e dalla degradazione causati da vari fattori: il cambiamento climatico, l'inquinamento, le piogge acide, la deforestazione, le colture intensive e la cementificazione. Solo quest'ultimo elemento, per esempio, è responsabile della perdita in Europa di mille chilometri quadrati di terreni produttivi ogni anno (un'area grande quanto Roma). E in Italia più del 4% del territorio è sterile e oltre il 21% è considerato a rischio desertificazione. Eppure il suolo sano e fertile è vita e non solo perché elemento imprescindibile per il settore agricolo e di prevenzione da frane, allagamenti e desertificazione, ma anche perché tutti i terreni fertili del pianeta potrebbero assorbire ogni anno 0,7 miliardi di tonnellate di carbonio (dati Re Soil Foundation), l’equivalente di tutte le emissioni prodotte dall'utilizzo dei combustibili fossili nell’intera Unione Europea.

Un aiuto che viene dall'umido
Ma allora cosa è possibile fare per ridare 'vita' al suolo? Sono tanti gli interventi che dovrebbero essere messi in atto, ma uno fra questi è alla portata di ciascuno: fare correttamente la raccolta dell'umido. L'utilizzo del compost di qualità, ottenuto dal corretto compostaggio dei rifiuti organici, è fondamentale per preservare la sostanza organica del suolo. Ma a fronte di questa opportunità, due terzi dei rifiuti organici urbani nell’Unione europea (pari a 96 milioni di tonnellate) vengono ancora inviati in discarica, come gran parte dei fanghi di depurazione provenienti dal trattamento delle acque reflue urbane, che spesso sono anche inceneriti. L'Italia sta un po' meglio, con un riciclo intorno al 50%: ma è chiaro che i margini di miglioramento sono ancora ampi.

26 ottobre 2020

SettegiorniPD in Regione Lombardia

   La Newsletter del Partito Democratico del Consiglio regionale della Lombardia

L'Editoriale Alla ricerca del tempo perduto

Con il tempo non si scherza, quello passato come quello che verrà. Il tempo è variabile fondamentale per la gestione di una pandemia che dovremmo anticipare e non inseguire. Chi guida la Lombardia non lo ha fatto e non lo sta facendo. Ci vorrebbe grande unità d’intenti, ma questo non sembra accadere. Abbiamo offerto la nostra disponibilità e le nostre idee, ma il presidente Fontana ha solo fatto finta di accoglierle, preferendo nascondersi all’ombra di un leader politico che pare avere la capacità di mettersi di traverso alla realtà, sperando, forse, di raccattare qualche voto. L’incursione di Salvini in Lombardia è stata inopportuna per tempi e modi e ha trascinato Fontana nell’ennesimo scontro con gli altri livelli istituzionali, al di fuori di ogni logica e saggezza politica.
I contagi galoppano e chi dovrebbe guidare la regione dimostra grande incertezza di fronte a opposte sollecitazioni che andrebbero risolte con tutta la concordia istituzionale del caso.
Per questo, si registra un tragico ritardo nel compiere i passi suggeriti dalla prima ondata dell’epidemia e ci ritroviamo di fronte a un tempo inesorabilmente perduto e allo spettro di un nuovo lockdown. Potrà forse risparmiarlo la saggezza dei cittadini, visto che manca quella di chi governa. D’altronde, come scrive Marcel Proust nel monumentale “Alla ricerca del tempo perduto”: “La saggezza non si riceve, bisogna scoprirla da sé dopo un percorso che nessuno può fare per noi, né può risparmiarci, perché è un modo di vedere le cose”. Una saggezza che manca e che stiamo inseguendo a caro prezzo.

La seconda ondata è arrivata, ma la Lombardia non è pronta

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25 ottobre 2020

E se sulla scuola provassimo a fare un ragionamento più articolato dell'aperto/chiuso?

Aluisi Tosolini dirige il Liceo Bertolucci di Parma. Da lunedì parte il GOL: un giorno alla settimana a casa in didattica a distanza. Per alleggerire la pressione sui trasporti, certo, ma soprattutto per poter mettere in campo quelle didattiche di cooperative learning che la scuola in presenza oggi non permette. «Le scuole hanno fatto i compiti e sono divenute centri di innovazione didattica e digitale. Per questo è sbagliato ragionare solo in termini di aperto/chiuso, servono scelte "personalizzate". Chiudere tutto è la scelta più facile, ma è una sconfitta»

di Sara De Carli (redazione di VITA)

Aluisi Tosolini ha parole chiare: la chiusura delle scuole in blocco è una «sconfitta per tutti». Campania, Lombardia, Lazio e Liguria sono le prime regioni ad aver preso un provvedimento in questo senso, con scelte differenti da una regione all’altra. «Finalmente c’è un ragionamento territorialmente mirato e questo è positivo poiché è evidente che non tutti i contesti territoriali hanno bisogno della stessa “cura da cavallo”», commenta il dirigente del Liceo Bertolucci di Parma. Però non è ancora abbastanza: «Siamo sicuri, allora, che la situazione a Chiavenna sia uguale a quella di Milano, giusto per stare alla Lombardia? Credo proprio di no. E allo stesso modo, sulla proposta di iniziare alle 9, in una città di medie dimensioni come Parma, dove le corriere essenzialmente portano in città solo gli studenti dalla provincia, spostare l’ingresso dalle 8 alle 9 significa solo spostare il traffico dalle 8 alle 9, non alleggerirlo alle 8. Nelle città, con la metropolitana, le cose sono diverse. Mi sembra venga messa a prova l’autonomia, come se proprio quelli che l’hanno tanto cercata ora non la volessero più. Qui in Emilia Romagna - almeno mia provincia – è stato messo in piedi una sorta di microgruppo di lavoro tra provincia, sanità, scuole e trasporti per rispondere velocemente all’evoluzione dei dati. Perché è chiaro che se ce ne fosse bisogno la scuola va chiusa, non siamo qui a dire che non si deve chiudere o che la scuola va tenuta aperta ad ogni costo. Soltanto diciamo “non si scelga sempre la strada più facile”».